Il ventennale di Casa Betel è la circostanza per considerare esistenzialmente, nel frammento, il tutto di una umanità femminile mortificata e sempre nella fase di rinascita e crescita nella propria dignità.
Da tante e troppe storie inizia la trama di un percorso di guarigione, di riappropriazione della propria identità e del personale valore, della riattivazione di un percorso di vita di molte donne. Ciò ha sempre suscitato il mio interesse affettivo: mi sono chiesto spesso quali tappe segnino i passaggi non scontati di questa via dolorosa e di risurrezione. Chi chiederà scusa a queste donne, chi invocherà perdono per la violenza subita? Come avverrà il perdono e la pacificazione se questo non dovesse avvenire? Se è vero che solo personalmente qualcuno è reo del maltrattamento inflitto ad una donna, quali sono le responsabilità storiche, culturali, sociali, ecclesiali dirette ed indirette implicate in queste dolorose esistenze? Quali sono, non le nostre colpe, ma le nostre responsabilità in ordine ad un malessere che la vita di coppia spesso nasconde ed esorcizza in sopportazioni reciproche scomposte, al limite della sostenibilità e che, troppo spesso, si deteriorano in storie drammatiche e tragiche? Quale prezzo abbiamo stabilito per il valore di vite umane sul mercato degli sciacalli? L’imbarazzo corre il rischio di prevalere nella impossibilità di ristabilire un punto di partenza autentico per ricominciare.
Ed è per tale motivo, che in questa circostanza del ventennale di Casa Betel, vorrei chiedere scusa, implorare il perdono, a tutte quelle donne offese che tra le mura e gli affetti intelligenti e pazienti di Casa Betel sono passate, ci vivono oggi, sono guarite, sono uscite e sono rinate. Chiedere scusa mi pare un punto di partenza necessario per me, per noi, da membro di una umanità responsabile; desidero chiedere scusa da uomo che prova a capire, non a giustificare, le fragilità maschili e femminili degli uomini e delle donne del suo tempo; desidero chiedere scusa da credente per quella mancata evangelizzazione delle relazioni per la quale Gesù si è pienamente speso nella riaffermata dignità restituita alle donne del suo tempo; desidero chiedere scusa non come atto che pacifica il sottoscritto o questa umanità responsabile, non solo, ma soprattutto come atto ri-creativo di chi tenta di ri-conoscere sé stesso dalla parte di un debito incolmabile, sopportabile solo a fronte di un perdono che, per chi lo accoglie, ha la forza performativa di una parola vera, di un perdono che guarisce gli uni e gli altri, la parte offesa ed i violenti, le vittime ed i carnefici.
Casa Betel ha la bellezza di un laboratorio di carità, di una officina della misericordia; i drammi di quaresime che sembravano interminabili si ricompongono in pasquali risurrezioni; quel Gesù così vivamente desiderato per la cappellina del Santissimo Sacramento, in quel posto piccolo e sommamente potente, ricorda che nella violenza di una croce vissuta non solo è presenza reale, ma Grazia in atto, principio di ri-generazione che lo Spirito esprime in successive pentecosti di umano coraggio. E nel silenzio del crocifisso morente si manifesta la vitalità delle viventi vittime, sacrificate al non senso dell’umana empietà, riconsegnate al senso di una umana e divina intercessione che salva le vittime ed intercede il perdono per i persecutori.
Casa Betel è un percorso, un andare a collocarsi nella verità di sé, nell’inveramento della propria ed altrui storia; Casa Betel è un appello per ogni donna e per ogni uomo che desideri andare verso la verità di sé, verso quella identità “presa e maltrattata”, ma mai del tutto “rubata”; Casa Betel è la casa del coraggio di chi non si arrende, ma credendo vive e vivendo crede nella vita, in Dio.
«La verità non è una nozione distaccata, ma un luogo dove abitare»: Casa Betel continuerà ad essere un segno di quel cercare di abitare se stessi nel proprio mistero, attraverso successivi passaggi dal buio dell’incomprensibile alla luce del significato e della bellezza dell’umano esistere; un segno per un tentativo di alleanza ricomposta tra Dio e l’uomo che la comunione tra le sue mura manifesta ed esprime come segno di una intera umanità riconciliata.
Maurizio Rinaldi
Sacerdote coordinatore Area per la Società
Direttore Caritas Diocesana di Brescia