12 Febbraio 2017

Monocromi o chiaroscuri e il soffitto

GIUSEPPE TEOSA
(Chiari 1758-1848)

Nacque a Chiari il 17 febbraio 1758 (anche se alcuni studiosi lo dicono nato il 12 marzo 1760) da famiglia modesta. Il padre Giambattista, di origine valtellinese era un modesto pittore e decoratore e da lui apprese i primi rudimenti di pittura.

Giuseppe Teosa si manifestò, sin da giovinetto, dotato di particolare ingegno ed interessato all’arte pittorica; il padre, riconoscendo di non potergli dare l’istruzione adeguata lo affidò, adolescente, a Fabrizio Galliari che in quegli anni (1770-1775) operava nella vicina Treviglio.

In occasione del giubileo del 1775 ebbe si trasferirsi a Roma alla scuola di Pompeo Batoni, grazie all’interessamento del compatriota Stefano Antonio Morcelli, allora bibliotecario del cardinale Albani.

A Roma vi rimase per sei anni che furono fondamentali per la sua formazione, egli infatti apprese e perfezionò tutte le tecniche dell’arte pittorica, dell’affresco e del disegno.

Dopo un periodo piuttosto breve, trascorso a Bergamo, si trasferì nel bresciano con una serie di commissioni per piccoli centri della Valle Canonica e della Franciacorta; risulta piuttosto singolare il fatto che le opere “religiose” del teosa si concentrino in quella ben delimitata area geografica, Pellalepre Fucine Darfo Garzone Adro Cologne Chiari Paderno Provezze Provaglio per citare alcuni nomi, con rare puntate nella zona più orientale (vedi Preseglie Maderno e Castenedolo).

Le opere eseguite suscitarono numerosi consensi, il gesuita Morcelli addirittura dedicò al Teosa uno scritto ‘Lettere e carmi dedicate a Giuseppe Teosa’; intorno agli anni Novanta del Settecento diventerà il protagonista principale del rinnovamento pittorico nella decorazione degli interni, vale la pena ricordare con lui il cremonese Giuseppe Manfredini.

Numerose sono le realizzazioni che si possono lodare, prevalentemente pittore di affreschi e di tempere, era dai contemporanei lodata la sua abilità nella pittura ad encausto.

La prima grande impresa Bresciana è la decorazione di palazzo Averoldi in Santa Croce (1790-91) in collaborazione con Saverio Gandini e Francesco Tellaroli; la “premiata ditta” si vedrà poi riunita nel suntuoso palazzo Feltrinelli già Negroboni a Gerolanuova.

Il Teosa fornisce il meglio di sé quando segue una vena intimamente composta e geometrizzante, impostando partiti decorativi estremamente semplificati, con scansioni ben definiteci le tenui tonalità cromatiche conferiscono una delicata levità, una propensione particolare per gli episodi di storia e mitologia.

E’ proprio seguendo questo filone che decora Palazzo Masetti Zanini, Palazzo di Calino in Franciacorta, Palazzo Maggi in Brescia, Palazzo Martinengo Cesaresco.

Il periodo che va dal 1808 al 1813 resta a testimonianza della ‘Fortuna in patria” del Teosa; gli vengono, infatti, commissionati: la decorazione del Teatro Grande, Palazzo Pancera di Zoppola, Palazzo Pellizzari e palazzo Carpani, queste opere rappresentano senza alcun dubbio i vertici della produzione dell’artista.

Vale la pena di spendere due righe per il Teatro Grande dove il Teosa aveva decorato il parapetto dei palchi e la volta con trofei ed emblemi guerreschi e simboli napoleonici fra cui prevaleva l’acquila con il fulmine tra gli artigli e l’apoteosi di Napoleone impersonificato da Marte mentre viene incoronato d’ulivo da Minerva; di tutto ciò non è rimasto che qualche frammento, la decorazione è andata distrutta nell’incendio del 1863. Per numerose chiese affronto il tema sacro: nella parrocchiale clarense realizzò ‘S. Agata in gloria e la discesa della Spirito Santo’ (1797); in quella di Cologne ‘l’Assunta e Cristo in gloria’ accanto a varie decorazioni (1814); a Caravaggio, nella chiesa dedicata alla Beata Vergine si ricorda una delle sue migliori opere ‘Apparizione della Vergine a fanciulle e fanciulli’ (1827);

ad Andro ‘Salomè con la testa mozzata del Battista’ (1842); a Prodezze ‘Vergine Assunta’ e medaglie varie (1846); ad Iseo ‘L’ultima cena’ e ‘L’ascensione di Cristo’, opera assai appezzata ma incendiatasi nel 1891. A Chiari, nella pinacoteca, si ricorda il giovanile ‘S. Luigi Gonzaga’, accanto alla ‘Beata vergine del Rosario’, nella chiesa dei S.S. Filippo e Giacomo un S. Michele, nella chiesa di S. Maria Maggiore una via Crucis. Altri interventi decorativi delle parrocchiali di Provaglio, Gussago e Castenedolo; di minor rilievi alcuni dipinti situati a Pelalepre, Darfo, Paterno, Calini.

Vale la pena di ricordare il Teosa ritrattista, dove l’artista sembra superare gli schemi settecenteschi e quel qualcosa di convenzionale che possiedono molti ritratti neoclassici,trai più importanti ricordiamo i ritratti del Morcelli e dell’arciprete Imbriani. Continuò a dipingere con tanta alacrità che nemmeno la vecchiaia ne la decrepitezza poterono togliervi di mano il pennello. Si spense a Chiari il 23 luglio 1848.

Le opere

Il Teosa assunse il lavoro degli affreschi della nostra chiesa intorno al 1840 all’età di più di ottant’anni. Chiese come compenso (si legge in una sua lettera datata 6 ottobre 1840) la modesta cifra di 3.000 lire austriache preoccupato che “la mia lunga fatica …..non siano malcontenti del mio dipinto”.

Tremila Lire austriache sono pari a 2610 Lire italiane, e queste anche più di un secolo e mezzo fa erano un misero compenso per un lavoro. La presidenza della fabbrica nelle persone di Brivio Andrea, Valsecchi Luigi, Bettoni Giambattista ed il Parroco Bolzoli Marcantonio, avrebbero voluto qualche cosa in più alla modesta richiesta, ma la cassa era esausta e si dovettero accontentare di inviare una lettera datata 11 ottobre 1840, in cui si dice che : “…la nostra chiesa ebbe la bella sorte d’essere con figure istoriate dal suo incomparabile pennello animatore. Il cielo serbi a lunghissimi anni ala sua vita onde possano ammirare i coltivatori delle belle arti sempre nuove creazioni effigiate dal suo genio creatore…..”.

Si possono ammirare i pregevoli dipinti a chiaroscuro situati tra gli intercolonnii illustranti scene dell’antico testamento (in alto) e Nuovo Testamento (in basso).

Nella decorazione della volta con la freschezza del pennello, la morbidezza del colorito dipinse l’affresco centrale che rappresenta l’ascensione del Cristo circondato da angeli che l’accompagnano in cielo. L’affresco è realizzato con una infinità di azzurri che si gradualizzano a mano a mano che il Cristo sale in Cielo. Questo è il risultato di una tecnica pittorica che solo il Teosa sapeva attuare con destrezza sorprendente. Nel presbiterio abbiamo una cupola con il Compianto del Cristo e quattro pennacchi raffiguranti gli evangelisti.

Si racconta che egli non lavorasse di giorno ma di notte, al tenue chiarore tremolante di un lume ad olio. Infatti quando imbruniva, lo vedevano salire, malgrado l’età, i ponti della fabbrica, munito del lume ed un po’ brillo. Si capisce che il vino accendeva il suo genio, perché non lavorava se non si sentiva rallegrato da Bacco. Così solo, lassù nell’alta volta, nella pace della notte lavorava e dai suoi pennelli uscivano i miracoli d’arte che oggi ammiriamo.